Un padre, Jachin-Boaz, che disegna mappe preziose per tutte le esigenze.
Un figlio, Boaz-Jachin, che vuole una mappa con almeno una zona vuota, ed è proprio la mappa che il padre non può dargli.
Un leone, in un mondo dove tutti i leoni sono ormai scomparsi.
Con questi tre elementi Russell Hoban ha costruito un romanzo – una favola? una parabola? un’allegoria? – che ha ricordato ai critici le grandi opere di Tolkien e di C.S. Lewis. Ma Hoban non vuole creare ex novo dei mondi fantastici ben delimitati: la sua arte peculiare è quella di tuffare il fantastico selvaggio (in questo caso la ricerca dell’impossibile, enigmatico leone, minaccia di morte e promessa di vera vita) in un mondo concreto e quotidiano, osservato con deliziosa ironia, un mondo di camion e di poliziotti, di librerie e di chitarre, di flirts e di manicomi. Trascinati dalle imprevedibili avventure parallele, e alla fine convergenti, del padre e del figlio alla ricerca del leone, si procede nella lettura sempre più coinvolti in questa caccia metafisica, dove il cacciatore e spesso la preda, mentre sempre più pressante si fa la domanda: che cos’è il leone?
Ogni lettore troverà in questo singolarissimo romanzo significati diversi: ma soprattutto vi si riconosceranno i lettori più giovani – quelli, per intendersi, che hanno amato Hesse –, come in un mito che tocca una certa sensibilità nomade e avventurosa dei nostri anni. Oltre tutto, in queste pagine troveranno una delle rarissime variazioni convincenti su un tema oggi quasi inavvicinabile, eppure essenziale: la relazione tra padre e figlio, qui descritta con grande finezza nel suo oscillare fra un’assoluta impossibilità d’intendersi e un totale accordo nella ricerca di qualcosa che il mondo, così com’è, non ha: il leone.
La ricerca del leone è apparso per la prima volta nel 1973.
· 5 settembre 2017